Qualche sera ho dovuto fare un piccolissimo viaggio, vedere cieli e montagne che non avrei più voluto che lo sguardo incontrasse ma com’è giusto che fosse la mia volontà in questo caso sarebbe passata obbligatoriamente in secondo piano.
La bottega che vendeva l’unguento di cui avevo bisogno si trovava in un paesino con delle bellissime mura di cinta ma pieno di dossi, strade impolverate e la possibilità di incontrare anche dei carretti trainati dai muli, poche automobili ancora.
Così sono partita, sono stata serena ma come se la mia calma fosse a tempo determinato dopo un paio di giorni ho cominciato a percepire una piccola campanella che suonava, facendomi percepire quella sensazione di ansia che si sentiva tra i banchi di scuola, quando il professore scorreva con un dito il registro per interrogare e intanto si aspettava che il “tintinnabolo” ci annunciasse che la scuola almeno per quel giorno fosse finita!
Intanto avevo provato a fissare un punto fermo, come quando sei in barca e sei colta dal mal di mare, dicono che aiuti, ci ho provato, ho fissato un segnale di pericolo, un triangolo, ma il mio malessere non era dato dagli otoliti ma da un organo più profondo.
Dall’ipocentro del mio terremoto, l’onda andava risalendo per tutto il corpo facendo ripiombare sulla mia pelle uno sguardo vuoto, un cuore senza sangue e una lingua senza parole.
Così nella notte, dopo avere avuto l’unguento, sono andata via, perché l’ago del mio sismografo si è rotto e la china si versata irrimediabilmente sulla carta.